un dipinto di s.Giuseppe

San Giuseppe

il custode del Redentore

introduzione

«San Giuseppe è la più bella figura d'uomo concepibile e che il Cristianesimo ha realizzato. San Giuseppe era un uomo come tutti gli altri, aveva il peccato originale come me. Pensate che razza di distanza profonda viveva nella vicinanza assoluta che aveva con Maria: è quando si dice che la vocazione alla verginità è un possesso con un distacco dentro, con un dolore dentro, dove tutta la forza del rapporto amoroso è tutta concentrata e resa visibile nel dolore che c'è dentro, dove ciò che veramente è l'amore si sente, incomincia già: è come un'alba. (...) San Giuseppe ha vissuto come tutti: non c'è una parola sua, non c'è niente, niente: più povera di così una figura non può essere. Perciò dite sempre un Gloria a San Giuseppe (...)».(Don Giussani, L'attrattiva Gesù, BUR, Milano 1999, pp. 95/6)

la sacra famiglia
la sacra famiglia

Fino alla metà del '900 S.Giuseppe veniva venerato dal popolo cristiano con grande devozione. In ogni buona famiglia cattolica era possibile trovare un quadro con i tre componenti della Sacra Famiglia, tra cui appunto il padre “putativo” di Gesù.

Il periodo post-conciliare ha visto declinare la devozione per S.Giuseppe. Con danno considerevole per la vita di fede. E forse la crisi della famiglia nell'Occidente cristiano, come pure la difficoltà nel dare significato al lavoro, di cui Giuseppe è patrono, hanno come loro componente, non unica né prima ma reale, la dimenticanza di questo grande Santo.

Nel nostro piccolo vogliamo quindi ricordare qualche aspetto della sua figura, che può aiutare ad una maggior completezza della vita di fede.

Il Nuovo Testamento non ci dice molto di lui. Ne parlano solo i due Vangeli che riferiscono qualcosa della infanzia di Gesù, cioè quello di Matteo e quello di Luca. Tutti gli episodi che tali Vangeli riferiscono sono appunto legati al periodo che va dal suo fidanzamento ai primi anni di vita del bambino (fino al suo ritrovamento “tra i Dottori del Tempio” di Gerusalemme). Da queste fonti possiamo dedurre che Giuseppe era originario di Betlemme, cittadina che per qualche motivo abbandonò per andare ad abitare a Nazaret. Lì, probabilmente, avvenne il fidanzamento con Maria, figlia di Gioacchino ed Anna.

una fede ragionevole

La prima grossa prova, che i Vangeli ci tramandano, della fede di Giuseppe fu la decisione da prendere allorché Maria, che egli "non conosceva", gli comunicò l'evento dell'Annunciazione. Matteo riferisce l'umanissimo atteggiamento di Giuseppe. Come dice la lettera Redemptoris Custos (da cui saranno fatte le citazioni non ulteriormente specificate), par.3: "Egli non sapeva come comportarsi di fronte alla “mirabile” maternità di Maria.

L'ipotesi che troppo spesso si fa, è che Giuseppe fosse turbato dalla scoperta della gravidanza di Maria, di cui si sarebbe accorto quando già era visibile, e che gli avrebbe fatto nascere il sospetto di adulterio (o almeno di violenza). Ma un esame più attento dei testi, quale quello fatto dal Garcia (J.M.Garcia, La vita di Gesù, BUR 2005, pp. 33 sgg.), evidenzia quanto segue:

Non dunque un dubbio sulla onestà di Maria, ma un dubbio su di sé è quello che turba Giuseppe. Infatti, secondo Garcia, la traduzione esatta dal testo originale aramaico è:

«Giuseppe, suo sposo, che era giusto, ma si ritenne così mancante di giustizia da sentirsi indegno di rapportarsi a lei, decise di abbandonarla silenziosamente».

A questo dubbio, che nasce da un timore reverenziale, come già pensava Tommaso d'Aquino, pone fine la parola dell'Angelo che gli appare in sogno.

«Mentre dunque stava pensando a queste cose, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te non abbandonare Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo mosso da sacro timore a causa di quel che è Colui che è stato generato in lei dallo Spirito Santo. Ella te lo partorirà come un figlio, e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.» (Mt 1,20-21)

Giuseppe non era estraneo alla preghiera e sapeva che ciò che viene da Dio, autore della realtà, reca con sè dei segni di credibilità: la pace e l'aderenza alla realtà concreta, a cui apre e non chiude. In effetti le parole dell'Angelo gli dovevano apparire confermate dalla sua personale conoscenza di Maria, per la serietà e la verità della sua umanità.

una obbedienza coraggiosa

Da questo momento Giuseppe si consacra totalmente al Disegno di Dio, che gli chiede di proteggere e vigilare Maria e il Bambino:

«Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24).

Egli la prese in tutto il mistero della sua maternità, la prese insieme col Figlio che sarebbe venuto al mondo per opera dello Spirito Santo: dimostrò in tal modo una disponibilità di volontà, simile a quella di Maria, in ordine a ciò che Dio gli chiedeva per mezzo del suo messaggero.

Egli, pertanto, divenne un singolare depositario del mistero «nascosto da secoli nella mente di Dio» (cfr. Ef 3,9), come lo divenne Maria, in quel momento decisivo che dall'Apostolo è chiamato «la pienezza del tempo», allorché «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» per «riscattare coloro che erano sotto la legge», perché «ricevessero l'adozione a figli» (cfr. Gal 4,4-5). (...) Di questo mistero divino Giuseppe è insieme con Maria il primo depositario. Insieme con Maria - ed anche in relazione a Maria - egli partecipa a questa fase culminante dell'autorivelazione di Dio in Cristo, e vi partecipa sin dal primo inizio. Tenendo sotto gli occhi il testo di entrambi gli evangelisti Matteo e Luca, si può anche dire che Giuseppe è il primo a partecipare alla fede della Madre di Dio, e che, così facendo, sostiene la sua sposa nella fede della divina Annunciazione. Egli è anche colui che è posto per primo da Dio sulla via della «peregrinazione della fede», sulla quale Maria - soprattutto dal tempo del Calvario e della Pentecoste - andrà innanzi in modo perfetto (cfr. «Lumen Gentium», 63).

Nel fare questo egli piega i suoi progetti al Progetto di Dio: obbedendo alla circostanza storica del censimento si reca, con Maria che stava attendendo ormai in stato molto avanzato, a Betlemme, e tale scelta non dovette apparire facile, dato appunto lo stato di Maria; giuntovi, deve sopportare l'umiliazione di non poter soggiornare in una degna dimora in quella che era la sua cittadina d'origine e nella quale vivevano verosimilmente diversi suoi parenti e conoscenti, accontentandosi di “una grotta” (o “stalla”), in cui far riposare Maria ormai prossima al parto; obbedendo alle indicazioni di un angelo, che lo avverte in sogno, accetta di fuggire in Egitto, lontano dalla furia del re Erode:

Giotto, la fuga in Egitto

“un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. [14] Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, [15] dove rimase fino alla morte di Erode” (Mt, 2, 13/15)

Obbedendo ancora a una indicazione soprannaturale torna in Palestina alla morte di quello, preferendo tornare a Nazaret, probabile luogo d'origine di Maria, invece che a Betlemme, per assicurare al Figlio una esistenza più sicura, lontana dai possibili pericoli che potevano giungere dai discendenti di Erode:

“Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto [20] e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e và nel paese d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino”. [21] Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele. [22] Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea [23] e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: “Sarà chiamato Nazareno”.” (Mt, 2, 19/23)

padre del Figlio

San Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l'esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della Redenzione ed è veramente «ministro della salvezza» (...). La sua paternità si è espressa concretamente «nell'aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell'incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta; nell'aver usato dell'autorità legale, che a lui spettava sulla sacra Famiglia, per farle totale dono di sè, della sua vita, del suo lavoro; nell'aver convertito la sua umana vocazione all'amore domestico nella sovrumana oblazione di sè, del suo cuore e di ogni capacità nell'amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa» («Insegnamenti di Paolo VI»...).
La liturgia, ricordando che sono stati affidati «alla premurosa custodia di san Giuseppe gli inizi della nostra redenzione» («Missale Romanum) precisa anche che «Dio lo ha messo a capo della sua famiglia, come servo fedele e prudente, affinché custodisse come padre il suo Figlio unigenito» (...). Leone XIII sottolinea la sublimità di questa missione: «Egli tra tutti si impone nella sua augusta dignità, perché per divina disposizione fu custode e, nell'opinione degli uomini, padre del Figlio di Dio. Donde conseguiva che il Verbo di Dio fosse sottomesso a Giuseppe, gli obbedisse e gli prestasse quell'onore e quella riverenza che i figli debbono al loro padre» («Quamquam Pluries»).
Poiché non è concepibile che a un compito così sublime non corrispondano le qualità richieste per svolgerlo adeguatamente, bisogna riconoscere che Giuseppe ebbe verso Gesù «per speciale dono del Cielo, tutto quell'amore naturale, tutta quell'affettuosa sollecitudine che il cuore di un padre possa conoscere» (Pio XII).
Con la potestà paterna su Gesù, Dio ha anche partecipato a Giuseppe l'amore corrispondente, quell'amore che ha la sua sorgente nel Padre, «dal quale prende nome ogni paternità nei cieli e sulla terra» (Ef 3,15).

Quando Gesù ebbe dodici anni troviamo ancora menzione di S.Giuseppe, che accompagna la sua Famiglia a Gerusalemme:

«“[41]I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. [42]Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; [43]ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. [44]Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; [45]non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. [46]Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. [47]E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. [48]Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". [49]Ed egli rispose: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?". [50]Ma essi non compresero le sue parole.” (Lc, 2, 41/50)

Udì questa risposta Giuseppe, per il quale Maria aveva appena detto “tuo padre”. Difatti così tutti dicevano e pensavano: “Gesù era figlio, come si credeva, di Giuseppe” (Lc 3,23). Nondimeno, la risposta di Gesù nel tempio doveva rinnovare nella consapevolezza del “presunto padre” ciò che questi aveva udito una notte, dodici anni prima: “Giuseppe,... non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”. Già da allora egli sapeva di essere depositario del mistero di Dio, e Gesù dodicenne evocò esattamente questo mistero: “Devo occuparmi delle cose del Padre mio”.» (RC, § 15)

Il medesimo Vangelo di Luca evidenzia come Gesù, anche dopo questo episodio, che lo vede evidenziare in modo clamoroso la sua “diversità”, nel senso di eccezionale superiorità, assoluta incommensurabilità, rispetto alla pura umanità dei suoi “genitori”, stesse loro sottomesso. E ancora una volta questo ci lascia intravvedere come condizione a tale sottomissione una eccezionalità di presenza umana, non solo nella Madre, ma anche nel padre umano (putativo):

“[51]Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. [52]E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.”

sposo di Maria

La sua paternità verso Gesù dunque non fu affatto una forma minore di paternità: si può anzi dire che nessun padre umano fu padre quanto lui, che pure non aveva generato fisicamente Gesù. Così la sua unione con Maria, pur non esprimendosi in una carnalità "ordinaria", fu una vera unione sponsale. Come dicono i testi che citiamo qui sotto, non fu certo una finzione il suo matrimonio: anzi si può dire che nessuna unione matrimoniale fu così profonda e intensa come quella tra Giuseppe e Maria, che pure non si conobbero mai "carnalmente", ma realizzarono una unità quale mai sarebbe stata raggiunta.

«Giuseppe... prese con sè la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio» (Mt 1,24-25). Queste parole indicano un'altra vicinanza sponsale. La profondità di questa vicinanza, la spirituale intensità dell'unione e del contatto tra le persone - dell'uomo e della donna - provengono in definitiva dallo Spirito, che dà la vita (Gv 6,63). Giuseppe, obbidiente allo Spirito, proprio in esso ritrovò la fonte dell'amore, del suo amore sponsale di uomo, e fu questo amore più grande di quello che «l'uomo giusto» poteva attendersi a misura del proprio cuore umano.

20. Nella liturgia Maria è celebrata come «unita a Giuseppe, uomo giusto, da un vincolo di amore sponsale e verginale» («Collectio Missarum de Beata Maria Virgine», I, «Sancta Maria de Nazareth», Praefatio). Si tratta, infatti, di due amori che rappresentano congiuntamente il mistero della Chiesa, vergine e sposa, la quale trova nel matrimonio di Maria e Giuseppe il suo simbolo. «La verginità e il celibato per il Regno di Dio non solo non contraddicono alla dignità del matrimonio, ma la presuppongono e la confermano. Il matrimonio e la verginità sono i due modi di esprimere e di vivere l'unico mistero dell'alleanza di Dio col suo popolo» («Familiaris Consortio», 16), che è comunione di amore tra Dio e gli uomini.

Mediante il sacrificio totale di sè Giuseppe esprime il suo generoso amore verso la Madre di Dio, facendole «dono sponsale di sé». Pur deciso a ritirarsi per non ostacolare il piano di Dio che si stava realizzando in lei, egli per espresso ordine angelico la trattiene con sè e ne rispetta l'esclusiva appartenenza a Dio.

D'altra parte, è dal matrimonio con Maria che sono derivati a Giuseppe la sua singolare dignità e i suoi diritti su Gesù. «E' certo che la dignità di Madre di Dio poggia sì alto, che nulla vi può essere di più sublime; ma perché tra la beatissima Vergine e Giuseppe fu stretto un nodo coniugale, non c'è dubbio che a quell'altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto mai nessun altro. Poiché il connubio è la massima società e amicizia, a cui di sua natura va unita la comunione dei beni, ne deriva che, se Dio ha dato come sposo Giuseppe alla Vergine, glielo ha dato non solo a compagno della vita, testimone della verginità e tutore dell'onestà, ma anche perché partecipasse, per mezzo del patto coniugale, all'eccelsa grandezza di lei» (Leone XIII, «Quamquam Pluries», die 15 aug. 1889: «Leonis XIII P. M. Acta» IX [190] 177s).

l'umiltà di stare al posto assegnato dal Padre

Nulla più ci viene poi detto nei Vangeli su Giuseppe: morì poco dopo il ritrovamento nel Tempio, come suppongono alcuni (tra cui Dobraczynski, autore di un bellissimo libro su di lui, o come il regista di un recente, bel film, su S.Giuseppe), o rimase ancora in vita? E in quest'ultimo caso, fino a quando? Fino alle soglie del ministero pubblico di Gesù? Oltre la sua morte e resurrezione? Quest'ultima ipotesi ci sembra la meno probabile, dato che non una sola volta i Vangeli e il resto del Nuovo Testamento ne fanno menzione, e dato che sulla Croce Gesù affida Maria a Giovanni, come non avrebbe probabilmente fatto vivente ancora Giuseppe. D'altra parte non impossibile, ma meno probabile ci sembra la prima ipotesi, di una sua morte poco dopo il ritrovamento di Gesù nel Tempio. Tra le altre considerazioni che si possono fare è degno di nota che il Vangelo di Luca dice “stava loro sottomesso”: dove “stava sottomesso” indica una iterazione prolungata nel tempo (tendenzialmente per tutto il tempo seguente, salvo contraria, successiva indicazione, cioè fino all'inizio della vita pubblica), e “loro” indica che non solo a Maria Gesù era sottomesso, ma anche a Giuseppe, come non avrebbe potuto, se questi non fosse più stato in vita. L'ipotesi che ci sembra perciò più verosimile è che Giuseppe sia vissuto fino alle soglie del Ministero pubblico di Gesù, e che la sua morte abbia costituito per Cristo un segno che era appunto giunta l'ora, venuto meno il padre terreno, di rendere pubblicamente visibile la sua missione di inviato dal Padre celeste.

📚 Bibliografia essenziale

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Ecco un bel canto (inno) a S.Giuseppe, fatto da dei giovani