il mistero della diversità
«un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate», Catechismo della Chiesa cattolica, §2358
un punto di partenza
Qualunque approccio cristiano al tema della diversità sessuale non può che partire da quanto ha solennemente affermato il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, al paragrafo 2358.
In base a tale testo l'orientamento diverso non è scelto, ma è dato, è una condizione, in cui alcuni esseri umani («un numero non trascurabile», dice il Catechismo) si trovano.
Certo, bisogna distinguere tra orientamento e comportamento: il primo non viene scelto, il secondo sì. Il comportamento è qualcosa che uno decide, sceglie. Sceglie con il libero arbitrio, che è un elemento essenziale di una antropologia cristiana (che senso avrebbe infatti la vita, se non quello di essere una prova e un passaggio. come ricordò una volta papa Giovanni Paolo II, dunque un ambito in cui dobbiamo scegliere, tra il Bene e il Male?).
patologia?
Il fatto che l'orientamento diverso sia dato non significa però che esso sia naturale, né che il comportamento che da esso potrebbe scaturire sia eticamente buono.
una possibile spiegazione
Infatti un altro elemento essenziale di una cultura cristiana è il dogma (il mistero) del peccato originale, che spinge gli esseri umani ad agire non (solo) secondo la loro profonda natura, che è relazionale e capace di gratuità. ma (anche) in modo egoistico e autocentrico.
In questo senso, secondo principi ispirati a Freud, si potrebbe spiegare l'orientamento diverso come esito di dinamiche relazionali intrafamiliari (soprattutto) infantili, in cui (almeno) uno dei genitori ha possessivamente ed egoisticamente ipotecato l'affettività del figlio(/a). Nel senso che o a) il genitore di sesso opposto avrebbe preteso di essere l'unico e definitivo partner del(/la) figlio(/a), oppure b) il genitore dello stesso sesso avrebbe «proibito» al figlio(/a) di rivaleggiare con lui(/lei).

In base a questa spiegazione si avrebbe che l'orientamento diverso può essere sia (in molti casi) praticamente irriformabile (perché si tratta di ferite ... «profondamente radicate»), sia in qualche modo patologico, esattamente come lo sono molte malattie fisiche con cui uno deve rassegnarsi a convivere.
una secolare tradizione
In questa linea non un dogma, ma una secolare tradizione del Magistero ecclesiastico e di autori spirituali, ha concordato nel giudizio che non sia eticamente positivo dare sbocco concreto alle pulsioni diverse.
E' vero la Scrittura non deve sempre essere presa alla lettera . Ed è vero anche che l'esigenza di contrastare il comportamento omosessuale è storicamente spiegabile come esigenza politica di salvaguardare una adeguata spinta demografica, scongiurando l'estinzione (o almeno l'indebolimento demografico) della stirpe, mentre oggi il mondo ha piuttosto un problema opposto, quello della sovrappopolazione.
Tuttavia non è meno vero che in un'ottica cristiana non si possono separare spirito e corpo, e che la piena umanità, dunque la piena sensatezza di un atto corporeo non può risiedere nella pura soddisfazione fisica: il particolare deve concorrere alla totalità (al bene totale).
Come diceva don Giussani, il criterio per stabilire se qualcosa è eticamente buono è se «c'entra con le stelle»; dobbiamo sempre chiederci: «che cosa c'entra con le stelle?», cioè con il tutto.
Più analiticamente, il fatto di avere rapporti sessuali al di fuori di una stabile (indissolubile) unione orientata all'educazione di nuove vite ci pare equivalga a scorporare un possibile significato “spirituale” dal significato “materiale” del gesto. Il gesto (di un rapporto sessuale) ha come significato materiale la (possibile) procreazione: c'è poco da fare. È così. Può un gesto avere un significato spirituale a cui non corrisponda alcun significato materiale? Perché non c'è significato se non c'è utilità, cioè possibile frutto. Io credo di no, dal momento che l'uomo è una unità corporeo-spirituale, in cui non si possono scorporare una pura corporeità e una pura spiritualità.
una falsa alternativa
Vi sono errori simmetrici sulla patologicità dell'orientamento diverso. Il fronte omofobo pensa: «se è patologico non può essere insuperabile». Il fronte omofilo pensa: «se è inevitabile non può essere patologico». Entrambi condividono l'idea di una intrinseca incompatibilità tra patologia e inevitabilità. Ma è probabile che sbaglino entrambi. In effetti pensare così significa, poco o tanto, dimenticare il (dogma cristiano del) peccato originale, per il quale la natura umana è una natura ferita. E la grazia risana, ma risana anzitutto e soprattutto lo spirito, e solo indirettamente e più imperfettamente il fisico e la psiche. Per cui, come ci sono malattie fisiche insuperabili, perché non potrebbero esserci patologie psichiche teoricamente (de iure) superabili, ma praticamente (de facto) insuperabili?
Le cosiddette terapie riparative quindi possono in qualche modo funzionare per certi casi, ma non per tutti: in molti casi comportano uno sproporzionato dispendio di energie psichiche, con possibili effetti di mortificante frustrazione.
La verità, perciò, è che l'orientamento omosessuale è, in molti casi, al tempo stesso patologico e (praticamente, de facto) insuperabile. Come in effetti dice il citato Catechismo della Chiesa cattolica.
Un possibile equivoco linguistico
La parola patologia non ha nulla di offensivo o di lesivo della dignità: nessuna patologia può sminuire l'infinita dignità che ogni essere umano possiede in quanto immagine e somiglianza del Mistero.
Patologia non significa nemmeno “colpa”: quella “diversa”, come si è detto, è una condizione, in cui alcuni si trovano, senza averla scelta.
Patologia significa solo che esiste una natura umana, rispetto alla quale gli orientamenti sessuali “diversi” rappresentano una eccezione. Che può dare grandi frutti se correttamente sublimata (pressoché tutti i più grandi geni, artistici, letterari, musicali, dell'umanità, e molti geni filosofici, militari e politici, avevano una forte componente di “diversità”), ma di per sé, a livello di riproduttività è comunque un “di meno”.
Estensione del fenomeno
Se la spiegazione data da Freud (e collimante con concetto cristiano di peccato originale) è, come sembra, corretta, allora non può essere tracciata una linea di separazione netta tra chi sarebbe (totalmente) diverso e chi non lo sarebbe (affatto): una qualche componente di diversità è presente in tutti, e d'altra parte una qualche componente di “normalità” è presente anche in chi sembrerebbe totalmente orientato in senso “diverso”.
Se ne trovano testimonianze anche nei Padri del Deserto:
«L'abate Carione disse “Chiunque dimora con un ragazzo e non è ben saldo, cade; chi invece lo è, non cade, ma nemmeno fa progressi”» (Detti dei Padri del deserto, Piemme, p.354)
L'abate Giovanni Colobo disse: «un monaco che, mentre mangia [/quando è sazio], parla con un ragazzo, nella sua mente ha già consumato un peccato di lussuria» (Detti dei Padri del Desertocit., p. 146).
L'Abate Poemen disse: «un uomo che tiene con sé ad abitare un fanciullo e, mosso verso di lui da un qualsiasi affetto dell’uomo vecchio, continua ancora a ospitarlo, è simile a chi ha un campo divorato dagli insetti» (Detti dei Padri del Deserto, cit., p. 281).
L'abate Isacco delle celle disse «Non portate ragazzi qui. Quattro chiese a Scete si sono svuotate a causa loro» (Detti dei Padri del Deserto, cit., p. 163).
E si potrebbero citare molti altri fatti e detti dei Padri del Deserto.
Questo non contraddice l'idea di insuperabilità della patologia, sopra affermata? Non necessariamente: le percentuali di componente diversa possono essere talmente ... diverse (come, per dire, 2% o 30%, o 70%), che la quantità diventa in qualche modo qualità. Finisce per costituire un fattore di fatto irriformabile.
effetto-contagio?
La condizione diversa non nasce da una scelta luciferina di disprezzo per la natura (non si capisce che senso avrebbe), né è frutto di una moda, ma nasce, come abbiamo detto, da dinamiche relazionali che comportano sofferenza e disagio. Queste dinamiche o ci sono (già) o non possono essere create dal contesto sociale né da alcuna legge statale.
Perciò la parola omosessualismo, usata negli ambienti ultraconservatori, nella misura in cui indica l'origine dell'orientemento omosessuale nella recezione di una idea, appare avere la stessa sensatezza di chi dicesse che i sordi sono tali perché influenzati e plagiati dalla propaganda sordista.
In questo senso è puerile (e patologica) la paura che hanno alcuni settori del mondo cattolico (ma non solo) che un contesto più friendly o leggi non repressive possano spingere grandi e crescenti masse di popolazione verso l'omosessualità.
La condizione diversa non è desiderabile, perché anche nei contesti più friendly non può non comportare uno stigma sociale e in ogni caso qualcosa di non naturale non può gratificare quanto il naturale, quindi non c'è da temere, come temono i fondamentalisti, l'omosessualizzazione della società e la conseguente estinzione del genere umano.
leggi anti-omofobia
Nel mondo cattolico, e anche tra i vescovi, ci sono diverse posizioni sul tema. In sintesi da un lato c'è il problema di persone che vengono fatte oggetto di violenza, verbale e talora anche fisica, non per qualcosa che fanno (o abbiano fatto), ma per qualcosa che sono; e questo è ingiusto. D'altro lato occorre che la tutela ai più deboli non diventi il pretesto per imporre una antropologia che, sganciando il biologico dallo spirituale, si rivelerebbe incompatibile con l'idea di sensatezza della realtà fin nel dettaglio, idea che è coessenziale a una visione religiosa.
Si tratta allora si salvare entrambe queste istanze: da un lato proteggere i deboli dalla violenza, dall'altro salvaguardare la libertà di espressione di tutti.
possibili obiezioni sulla necessità di tutelare dalla violenza
l'obiezione della inutilità

L'obiezione secondo cui le leggi esistenti già tutelerebbero chi è vittima di violenza, non tengono conto del carattere peculiare di certe forme di violenza, che non colpiscono una persona in quanto (è quella) persona, ma in quanto appartiene (o è ritenuta appartenere) a una certa categoria, e quindi:
- non prevedono alcuna sanzione per violenze verbali
- e per le violenze fisiche trattano l'aggressore in modo inadeguato perché fanno come se l'aggressione fosse di natura personale, dovuta a qualcosa che l'aggredito ha fatto, mentre si tratta di qualcosa che l'aggredito è. Tanto è vero che gli aggressori spesso non conoscono personalmente l'aggredito, né hanno subito da lui (/lei) alcun torto. In altre parole le leggi vigenti, in assenza di norme specifiche, tutelano le persone in quanto persone, ma non in quanto appartenenti a categorie, oggetto di stigma sociale.
Ora, sanzionare allo stesso modo due reati di diversa gravità è una ingiustizia. Quindi sanzionare allo stesso modo chi mi aggredisce perché gli ho fatto un danno, e chi mi aggredisce perché sono quello che sono, anche nel caso in cui gli effetti fisicamente verificabili delle due forme di aggressione fossero identici, significa porre sullo stesso piano due cose diverse. Il che è una ingiustizia. E chi nega questo, mente.
l'obiezione quantitativa
Chi poi sostenesse che non occorre legiferare per proteggere i più deboli, dato il carattere numericamente ridotto delle aggressioni (meno di 50 denunce all'anno, si dice), non tiene conto
- che le aggressioni fisiche denunciate sono quasi certamente solo la punta dell'iceberg delle aggressioni totali, dato che chi le ha subite è facile che se ne vergogni (analogamente a come le violenze carnali denunciate dalle donne sono ben lungi dall'essere la totalità delle violenze che si verificano, e ciò per lo stesso motivo);
- che le aggressioni fisiche sono comunque solo la punta dell'iceberg delle violenze subite da chi è “diverso”;
- che comunque se anche le aggressioni fossero solo quelle denunciate, meno di 50 all'anno, vorrei sapere chi sarebbe pronto a sostenere che 20 ebrei aggrediti in quanto ebrei, o 20 cristiani aggrediti in quanto cristiani non sono un problema, e che “i problemi sono ben altri”.
possibili rischi di una legge anti-violenza ideologicamente impostata
Come abbiamo sopra visto, il carattere praticamente insuperabile di certe forme di disforia non implica la loro naturalità, la loro non-patologicità. Ora questo deve poter continuare a poter essere detto senza che tale visione antropologica diventi sanzionabile perché sospettata di alimentare pregiudizi e violenza.
Ora, è vero che per raggiungere l'obbiettivo che nessuno abbia più a soffrire per qualcosa che è, senza averlo scelto, non basta agire sul fronte della repressione (sanzionando cioè sanzionando cose diverse in modo diversoin modo equo), ma occorre anche fare qualcosa sul versante della prevenzione. Tuttavia quest'ultima deve implicare tesi antropologiche ampiamente condivisibili, e perciò non troppo specifiche, comprehensive, per dirla con Rawls, come sarebbe una gender theorie, che sganciasse lo psichico dal biologico: si tratta invece di basarsi su una antropologia in cui si possano riconoscere tutte le persone sinceramente democratiche.
Per questo non è affatto necessario negare il valore positivo della differenza sessuale, basta educare al rispetto di ogni essere umano in quanto tale, indipendentemente dalle sue caratteristiche “secondarie”, come la razza, la statura, il colore dei capelli, il sesso, l'orientemento sessuale: da tutto ciò, insomma, che non è liberamente scelto.
un concetto controverso: il gender
Esiste «il gender»? Dipende da come viene inteso.
Se per gender si intende la (totale) negazione della differenza sessuale, allora mi pare che (un gender così inteso) non esista. Infatti le persone omosessuali di sesso maschile non vanno indifferentemente con maschi e con femmine: vanno solo con maschi. Specularmente le persone omosessuali di sesso femminile non vanno indifferentemente con femmine e con maschi: vanno solo con femmine. Il che prova, mi pare, che per loro non c'è indifferenza, ma differenza tra maschi e femmine.
Così come se si intedesse il gender come sinonimo del già citato concetto di omosessualismo, come se cioè l'omosessualità si risolvesse in una idea, in una teoria, allora tale concetto potrebbe essere giustamente contestato. Esso infatti significherebbe negare che quella “diversa” è una condizione, in cui alcuni esseri umani si trovano, indipendentemente dalla loro volontà e dalle loro idee.
Se invece per gender si intende la tendenza a ridurre l'importanza (e la bontà, il valore positivo) della differenza sessuale, allora mi pare innegabile che una tale tendenza esista. E che sia incompatibile con una antropologia cristiana, per la quale la fisicità non è separabile dalla spiritualità, ed è stata orientata dal Creatore in modo buono e sensato.
problemi aperti
benedizione delle coppie dello stesso sesso?
Su questo papa Francesco ha risposto, nell'estate del 2023 a dei dubia presentatigli da dei cardinali. Riportiamo qui la parte relativa al problema:
«2) Dubium circa l'affermazione che la diffusa pratica della benedizione delle unioni con persone dello stesso sesso, concorderebbe con la Rivelazione e il Magistero (CCC 2357).
Secondo la Divina Rivelazione, attestata nella Sacra Scrittura, che la Chiesa "per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone" (Dei Verbum 10): "In principio" Dio creò l'uomo a sua immagine, maschio e femmina li creò e li benedisse, perché fossero fecondi (cfr Gen 1, 27-28), per cui l'Apostolo Paolo insegna che negare la differenza sessuale è la conseguenza della negazione del Creatore (Rom 1, 24-32). Si chiede: può la Chiesa derogare a questo "principio", considerandolo, in contrasto con quanto insegnato da Veritatis splendor 103, come un semplice ideale, e accettando come "bene possibile" situazioni oggettivamente peccaminose, come le unioni con persone dello stesso sesso, senza venir meno alla dottrina rivelata?
Risposta di Papa Francesco alla seconda domanda [cioè al predetto dubium]
a) La Chiesa ha una concezione molto chiara del matrimonio: un'unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli. Solo a questa unione si può chiamare "matrimonio". Altre forme di unione lo realizzano solo "in modo parziale e analogico" (Amoris laetitia 292), per cui non possono essere chiamate strettamente "matrimonio".
b) Non è solo una questione di nomi, ma la realtà che chiamiamo matrimonio ha una costituzione essenziale unica che richiede un nome esclusivo, non applicabile ad altre realtà. Senza dubbio è molto di più di un mero "ideale".
c) Per questa ragione, la Chiesa evita qualsiasi tipo di rito o sacramentale che possa contraddire questa convinzione e far intendere che si riconosca come matrimonio qualcosa che non lo è.
d) Tuttavia, nel rapporto con le persone, non si deve perdere la carità pastorale, che deve permeare tutte le nostre decisioni e atteggiamenti. La difesa della verità oggettiva non è l'unica espressione di questa carità, che è anche fatta di gentilezza, pazienza, comprensione, tenerezza e incoraggiamento. Pertanto, non possiamo essere giudici che solo negano, respingono, escludono.
e) Pertanto, la prudenza pastorale deve discernere adeguatamente se ci sono forme di benedizione, richieste da una o più persone, che non trasmettano un concetto errato del matrimonio. Perché quando si chiede una benedizione, si sta esprimendo una richiesta di aiuto a Dio, una supplica per poter vivere meglio, una fiducia in un Padre che può aiutarci a vivere meglio.
f) D'altra parte, sebbene ci siano situazioni che dal punto di vista oggettivo non sono moralmente accettabili, la stessa carità pastorale ci impone di non trattare semplicemente come "peccatori" altre persone la cui colpa o responsabilità può essere attenuata da vari fattori che influenzano l'imputabilità soggettiva (Cfr. san Giovanni Paolo II, Reconciliatio et Paenitentia, 17).
g) Le decisioni che, in determinate circostanze, possono far parte della prudenza pastorale, non devono necessariamente diventare una norma. Cioè, non è opportuno che una Diocesi, una Conferenza Episcopale o qualsiasi altra struttura ecclesiale abiliti costantemente e ufficialmente procedure o riti per ogni tipo di questione, poiché tutto “ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma”, perché questo “darebbe luogo a una casuistica insopportabile” (Amoris laetitia 304). Il Diritto Canonico non deve né può coprire tutto, e nemmeno le Conferenze Episcopali con i loro documenti e protocolli variati dovrebbero pretenderlo, poiché la vita della Chiesa scorre attraverso molti canali oltre a quelli normativi.»
In sintesi
Papa Francesco afferma tre cose:
- il vero e proprio matrimonio è solo tra un uomo e una donna. Tra persone dello stesso non ci può quindi essere un vero e proprio matrimonio
- Tuttavia la carità e la prudenza pastorale possono suggerire di accompagnare anche con forme di benedizione unioni dello stesso sesso.
- Ciò però deve avvenire considerando caso per caso e non può costituire una regola generale, da applicare in modo indiscriminato (come invece vorrebbero certe Conferenze episcopali, ad esempio quela tedesca).
Commento
Un breve commento. La risposta al dubium dei cardinali conservatori si situa in una posizione di equilibrata sintesi, per così dire, tra le barricate dei tradizionalisti che non vorrebbero mai alcuna forma di benedizione, e le spinte degli ultraprogressisti, che vorrebbero impartire sempre, come regola ufficiale, tale benedizione. Magari equiparando le unioni dello stesso sesso al matrimonio.
Per un giudizio
Un breve giudizio.
- Si tratta di una innovazione rispetto alla tradizione? Sì.
- Sono avvenuti in passato simili evoluzioni dell'insegnamento del Magistero? Sì .
- In questo caso abbiamo un rinnegamento della fede per adeguarsi alla mentalità del “mondo”? No .
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