san Francesco, al Sacro Speco

San Francesco d'Assisi

il suo apporto

S.Francesco ha tanti meriti. Certo, anche quello, in un'epoca in cui la Chiesa era attaccata da molti movimenti ereticali per la sua ricchezza e il suo potere, di aver mostrato che si poteva essere poveri e semplici stando dentro la Chiesa e non mettendosi fuori e contro. Ma non è questo il punto centrale, sorgivo della sua vita.

l'obbedienza alla Chiesa

Al riguardo comunque vanno sottolineate con ammirazione le espressioni di reverenza e di umiltà che il Santo volle sempre manifestare verso coloro che, fossero o meno personalmente degni, avevano il compito di rendere presente Cristo nell'unica forma in cui può essere visto, tra la sua prima e la sua seconda venuta, cioè la forma dell'Eucarestia: solo i sacerdoti possono consacrare il pane e il vino. E tanto basta a renderli comunque venerabili e degni di rispetto:

«Poi il Signore mi dette e mi da una cosi grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.
E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come i miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue che essi ricevono ad essi soli amministrano agli altri.»

Ma, ripetiamo, non è solo per questo motivo storico che Francesco merita di stare tra i più grandi santi della Cristianità, bensì anche e soprattutto per la sua testimonianza (diciamo così metastorica) di abbandono totale a Dio, in Cristo.

a Dio, solo attraverso Cristo

Contro il rischio di un relativismo falsamente ecumenico val la pena notare che per S.Francesco si va a Dio solo attraverso Cristo: l'unica strada che ci da la certezza sul Mistero che fa tutte le cose è nella Rivelazione che Egli ha fatto di Sé, nel Vangelo, e in un Vangelo “sine glossa”, senza commenti cioè che ne attenuino l'impatto, ovvero ancora senza che una ragione costituitasi prima e fuori della fede "sistemi" il paradosso cristiano in formule accomodanti, razionalistiche o naturalistiche.

Tutta la sua vita volle essere una imitazione di Cristo: come Lui accolse intorno a sé dei discepoli, come Lui andò itinerante a predicare di paese in paese, cercò di essere a Sua imitazione il più possibile obbediente al Padre.

l'abbandono totale di sé al Padre

E' questo il tratto che più colpisce: l'abbandono a Dio, nella povertà più rigorosa. Un abbandono che suscita ammirazione perché non fu indolore, costò a Francesco un prezzo di rischio e di sofferenza: dalla rottura col padre terreno, che lo diseredò e lo rinnegò pubblicamente alle tante incomprensioni, con certe autorità ecclesiastiche ma più ancora all'interno della sua stessa famiglia religiosa, che guardava con preoccupazione al suo inflessibile rigore.

limiti

Non si può negare che il Santo di Assisi non avesse la stoffa dell'organizzatore, come l'aveva invece ad esempio S.Domenico o come l'avrebbe avuta S.Ignazio. Trovarsi in qualche modo a capo di una grande famiglia di frati che lo volevano seguire fu per lui un fatto che lo spiazzò. Certamente non aveva pianificato un simile sviluppo. Anche perché, diventando in tanti i frati, crescevano le tensioni interne al nuovo Ordine, per la richiesta di una maggior “moderazione” nel vivere la vita di povertà. Francesco, pur avendo a soffrire per questa situazione, cercò di sintetizzare una chiarezza nel proporre in modo serio l'ideale della povertà con una prudente saggezza nell'accettare gli inevitabili limiti umani nel modo di viverla.

Un secondo limite lo possiamo vedere in un certo letteralismo della sua impostazione. Lo si vede in certi episodi della sua vita, come quello in cui proibì a un frate di “far male a frate foco”, che, appiccatosi alla sua tunica, rischiava di incendiarlo. Tuttavia questo letteralismo nasce dal suo desiderio di aderire nel modo più semplice e totale a Cristo.

conformato a Cristo fin nella carne

S.Francesco: le stimmate
S.Francesco riceve le stimmate

Questo suo desiderio fu in effetti così intenso e puro da essere esaudito in un modo inimmaginabile, allorché Francesco, sul monte della Verna, ricevette le stimmate, venendo reso così, anche nel suo corpo, simile a Gesù. In questo sarebbe sbagliato vedere un dolorismo fine a sé stesso, il compiacimento della sofferenza per la sofferenza. Come il Maestro, che sudò sangue nell'Orto degli Ulivi, anche Francesco non vide nel dolore un fine, né qualcosa che vada cercato, quanto qualcosa che va accettato quando al Padre piace mandarlo, sapendo che da esso Egli saprà ricavare un bene maggiore, e quindi un motivo letizia per sé e per altri.

la letizia

Pur consumato dalla malattia che lo rese praticamente cieco e tormentato da vari dolori fisici, senza contare quello delle stimmate, Francesco, negli ultimi tempi della sua vita era lieto, e lieto di esserlo. Sappiamo tra l'altro che amava cantare. Ed è proprio nella fase finale della sua vita che compone il Cantico della creature, in cui anche la morte diviene sora, sorella, realtà non tragica, perché non dice l'ultima parola. Non la spogliazione, non la sofferenza, ma Cristo era stato il termine del suo desiderio. E la Sua presenza, divenuta più trasparente, confortò e rese lieto l'ultimo tratto del cammino terreno di Francesco, che guardò alla sua morte con pace, dando disposizioni molto dettagliate di come avrebbero dovuto fare i suoi frati appena prima e dopo il transito.

miti da sfatare

San Francesco è senza dubbio un Santo simpatico, anche presso chi non crede. Proprio perciò le distorsioni sul suo conto non consistono tanto, come per alcuni altri Santi o personalità cattoliche, in una denigrazione del suo operato, quanto nel fraintendimento di esso. Ne citiamo alcune fra le più frequenti:

ecologismo animalista?

S.Francesco fu un ecologista ante litteram? Alcuni in effetti sottolineano in lui l'amore per la natura (che c'è effettivamente stato) in termini del tutto analoghi a quelli che potrebbe avere un ecologista dei nostri tempi, intendendo con ciò uno che concepisca la natura («questa bella d'erbe famiglia e d'animali») come un assoluto, superiore all'uomo e suo orizzonte esauriente, e chiusa in sé stessa.

Ora in Francesco l'amore per la natura è esaurientemente riconducibile al suo amore per Dio, che è poi il suo amore per Gesù Cristo, la Presenza eccezionale che si fece incontro a Giovanni e Andrea, a Pietro e ai Dodici.

Il Cantico delle Creature testimonia che Francesco ama la natura solo perché vede in essa un segno della bontà e dello splendore della Presenza del Mistero.

Ma la predica agli uccelli? E il lupo di Gubbio? Anche lì non esiste argomento che possa far pensare che S.Francesco amasse la natura come un assoluto in sé compiuto: infatti agli uccelli egli richiama la lode della Gloria del Mistero, e il lupo di Gubbio viene affrontato senza paura ma in spirito in qualche modo fraterno solo ed esclusivamente in virtù della fede, che fa riconoscere nella natura un segno di Altro.

irenismo sincretista?

Un altro mito, alimentato da una superficiale divulgazione, riguarda il preteso irenismo del Santo, nel senso di una sostanziale indifferenza al dogma, sacrificato all'idea di una “tollerante” convivenza con qualsiasi fede e cultura.

A conferma di tale "ecumenismo" irenista e sincretista, si invoca lo spirito di umiltà del Poverello di Assisi, alieno dalle dispute e propenso alla arrendevolezza. Tanto più che poca importanza diede pure allo studio, nella impostazione lasciata ai suoi frati: segno, pensa qualcuno, che non tanto il dogma, non tanto una verità dai contorni definiti, ma la sola prassi contava ai suoi occhi, ossia un atteggiamento etico di accoglienza e di remissività non fondato su alcuna verità.

Che tale interpretazione della figura e del pensiero di S.Francesco sia falsa appare con evidenza dalla grande passione missionaria del Santo di Assisi, che rischiò la vita pur di andare in Oriente a convertire i Saraceni, e svolse presso il "Soldano" ("Saladino") una accorata opera di testimonianza. Se ne può vedere il resoconto nelle prime fonti francescane.

Quello di convertire i maomettani fu un suo costante pensiero, si potrebbe dire un suo chiodo fisso, che non a caso sarebbe poi rimasto nella storia del francescanesimo, ricco di martiri in terra islamica (si pensi ai martiri francescani in Marocco, nel 1220 e nel 1226). Così non avrebbe fatto se avesse ritenuto inessenziale la verità, l'ontologia, a vantaggio di una "pura prassi" di generosità etica.

Per quanto poi riguarda una apparente trascuratezza dello studio, ciò non va inteso come una indifferenza alla verità: prima di tutto si trattava di una sua personale consapevolezza di non essere portato a una vocazione intellettuale e non di una sfiducia nei confronti dello studio in quanto tale. In secondo luogo vi era in lui la preoccupazione che un certo modo di intendere lo studio e la vita intellettuale fosse pericoloso per l'umiltà e la semplicità. Ma che lo studio del vero in quanto tale non fosse incompatibile con lo spirito del francescanesimo lo avrebbe dimostrato benissimo un suo fedele discepolo, San Bonaventura.

ascetismo platonico?

Vi è anche chi pensa che il santo di Assisi abbia nutrito un (platonico) disprezzo per la corporeità in quanto tale, vista come causa di peccato.

Non per nulla egli parlava del proprio corpo come di «frate asino» e lo sottoponeva a sacrifici e sofferenze di notevole entità, come un suo lunghissimo e severissimo digiuno quaresimale, o come il fatto di dormire sulla nuda terra o sulla pietra.

Significativamente, si fa notare, tra dei suoi discepoli si trova uno Jacopone da Todi, in cui il disprezzo per il corpo è evidente (come nel componimento “O Segnor per cortesia/ manname la malsania”, in cui egli chiede di essere colpito da Dio con ogni sorta di malattia).

Senza escludere una qualche forma marginale di contaminazione platonica, del resto presente, seppur in misura non determinante in molta cultura agostinista medioevale (vedi Platone e Agostino), a livello di espressione, si può dire che l'esperienza complessiva di S.Francesco è genuinamente cristiana e non ha implicato un disprezzo per la corporeità in quanto tale.

Non dimentichiamo che Francesco è il cantore della Gloria di Dio che si manifesta attraverso la materialità del creato: il sole, la luna, le stelle, l'aria e le nuvole, il vento, i fiori e l'erba (si veda il già citato Cantico delle Creature).

Ma anche nei confronti del proprio corpo non vi è disprezzo, ma spirito di penitenza. Sono due cose diverse: Francesco non macera il proprio corpo come se esso fosse cattivo, ma lo fa a) per penitenza dei propri peccati, che hanno come radice l'orgoglio, la superbia, e non l'attaccamento al piacere, e b) perché il corpo può, se assecondato troppo, diventare occasione di peccato, un peccato che resta comunque secondario rispetto a quello "spirituale".

Che Francesco non disprezzasse il corpo in quanto tale appare ad esempio dall'episodio in cui, essendo ormai imminente la sua morte, egli chiese a una signora di preparargli dei dolci che gli piacevano molto.

Quanto a Jacopone, in lui si trovano, è vero, degli accenti di un ascetismo esasperato, condizionato fortemente da un atteggiamento platonico. Tuttavia anche Jacopone era consapevole che da un lato una pura ascesi corporale non è il fattore determinante per la salvezza, ma al contrario, se non è strumento di uno spirito umile, rischia di insuperbire (vi è una sua lauda contro una suora, insuperbitasi per il rigore della sua ascesi), e d'altro lato ciò che gli interessa supremamente è comunque l'affezione a Cristo (si veda la lauda "O dolze Amore"), e non una perfezione ascetica, che liberi dalla materia.

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