Il Decreto del Dicastero e CL

Il Decreto emanato nel giugno 2021 dal Dicastero per i laici ha introdotto delle importanti novità nella vita dei movimenti e delle associazioni ecclesiali.

niente di nuovo?

Fermiamoci anzitutto su questo punto, perché qualcuno nega che si ci sia stata una novità significativa. È importante rispondere a questa domanda: è cambiato davvero qualcosa o in fondo si è soltanto ribadito quanto si sapeva già?

Ora, è vero che in molte realtà ecclesiali, dopo la morte del Fondatore, esisteva già la regola della elettività periodica del suo successore. Almeno così è stato il caso di CL. Ma, anche da un punto di vista formale, la indefinita prorogabilità di una carica fa una bella differenza rispetto alla sua non prorogabilità. E tale differenza è ulteriormente rafforzata dal tassativo divieto, per chi lascia la sua carica, di esprimere una preferenza su chi dovrebbe succedergli.

Ma poi, da un punto di vista sostanziale, almeno in CL, tutti pensavano che il primo successore di Giussani, designato dallo stesso Fondatore, sarebbe durato a vita: le elezioni che ogni 5 anni si tenevano erano pressoché unanimemente viste come delle formalità. Critiche a Carrón ne sono state fatte, ma prima del Decreto e senza il Decreto, nessuno si sarebbe sognato di scalzare dalla guida di CL la persona scelta dal Fondatore. E tutti, anzi, avrebbero trovato normale che al momento di lasciare, Carrón avrebbe designato un suo successore. Tale del resto è difficilmente negabile fosse l'idea dello stesso Fondatore, che aveva parlato di una «successione ininterrotta» di chi avrebbe dovuto guidare Cl dopo la sua morte.

Non per nulla la notizia del Decreto è arrivata come qualcosa di dirompente. Accolto, sì, dagli uni con entusiasmo, e dagli altri con sconcerto e dolore. Ma da tutti come qualcosa di assolutamente non scontato.

Quindi cambiamento c'è stato. Eccome.

tutto chiaro?

Ma c'è una seconda domanda: il Decreto pone o no un problema teologico? Richiede di essere, come dire, digerito e interpretato, o la sua realtà è quella di essere perfettamente chiaro? Il Decreto è così chiaro che va solo applicato o richiede di essere capito?

Non si sta dicendo che le indicazioni pratiche del Decreto non siano chiare, benché anche lì molte cose non siano state esplicitate (e magari nemmeno seguite). Si sta dicendo che le sue implicazioni teologiche, il contorno, lo sfondo teorico che solo può dargli pieno senso, sono tutt'altro che chiarite perfettamente e una volta per tutte.

Anche perché vale per un testo del Magistero quello che Hans-Georg Gadamer (1900-2002), filosofo, fondatore dell'indirizzo filosofico ermeneuticoGadamer dice valga per qualsiasi testo (o qualsiasi opera, ad esempio d'arte) venga “prodotto”: nemmeno il suo autore ne è padrone, nemmeno l'autore ne conosce fino in fondo tutta la possibile valenza. Del resto è tesi diffusa nei come ha ampiamente documentato Henri de Lubac nella sua monumentale Esegesi medioevale che la stessa Sacra Scrittura è una foresta talmente profonda e vasta che nessuno può pretendere di averla esplorata interamente, e di possederne pienamente e perfettamente il senso.

Se è vero quanto si è fin qui detto non è difficile pensare come ci sia, nel senso teologico del Decreto, da capire qualcosa di non immediatamente chiaro. E quindi appare necessario un lavoro di riflessione e di interpretazione delle implicazioni teologiche del Decreto. E questo lavoro deve essere condotto dialogicamente e collaborativamente. Sotto la guida del Magistero, ma non come dettato da esso, che può aiutare a interpretare, anzi è decisivo in ciò, ma senza essere padrone del senso profondo del Decreto, come del resto non lo è del senso profondo di nessuna altra realtà: c'è un solo Signore e Padrone, che è nei cieli. Ne era ben consapevole San Paolo, quando nella 2a Lettera ai Corinzi (v. 24) scriveva «Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia»

un problema, in particolare

Ma vediamo che cosa in particolare pone un problema. In un movimento come CL un concetto fondamentale è quello del seguire. Seguire implica che ci si trovi davanti a qualcosa di più grande della propria misura. Qualcosa che la propria ragione non domina, non possiede: un Avvenimento più grande a cui aderire. Ora il rischio che una svolta in senso “democratico” potrebbe comportare, in assenza di una adeguata interpretazione, è che invece si pensi che tutti siano sullo stesso piano, e tutti abbiano capito che cos'è il Movimento e che il punto sia applicare quello che si è capito. In questo modo non si segue un Avvenimento, ma si applicano delle idee. E ci si sforza di essere coerenti con dei valori.

Non è un piccolo problema: come si può seguire un Avvenimento, se l'Avvenimento non si incarna in una persona, un maestro, in cui il carisma è - come dire - più intenso, più trasparentemente percepibile che in tutti gli altri?

Questo è un problema. Che non dovrebbe essere ignorato. L'alternativa è ridurre il Movimento a una applicazione di idee e di regole. Ma questo vuol dire precipitare a livello di un grigio associazionismo, intellettualistico e moralistico. Poco interessante.

Vale la pena di rifletterci, parlarne “con benevolenza”, da fratelli, e pregare di poter capire bene il senso della novità introdotta.

tutto oscuro?

D'altra parte non sarebbe nemmeno giusto negare che dei punti fermi ci siano.

una analogia ...

gli ordini religiosi

Potremmo anzitutto contestualizzare la questione dentro la bimillenaria storia della Chiesa e ricordare così che, prima dei movimenti ecclesiali laicali fioriti nel '900, ci sono state molte altre realtà carismatiche (“religiose”, non laicali, come appunto gli “ordini religiosi”, benedettini, francescani, domenicani, ecc.), e queste, dopo la morte del Fondatore, hanno visto scindersi ruolo istituzionale e funzione carismatica.

I successori di San Francesco ad esempio non sono stati scelti dal fondatore, né hanno avuto una particolare carismaticità (dei 121 Ministri generali dell'Ordine dei Frati Minori osservanti solo uno, San Bonaventura, il settimo a succedere a Francesco, è stato fatto santo e lui solo viene ricordato in modo speciale). Non ha torto Robi Ronza a ricordare che tra i Santi francescani quasi nessuno occupava particolari ruoli istituzionali, e che d'altra parte pressoché nessuno conosce i nomi dei successori di San Francesco alla guida dell'Ordine dei Frati Minori. Segno che il loro compito è stato di tipo piuttosto “gestionale” che “carismatico”. Analogo discorso si potrebbe fare per San Benedetto, San Domenico (Tommaso d'Aquino e Caterina da Siena non avevano alcun ruolo istituzionale nel loro ordine), sant'Ignazio: le personalità carismatiche negli Ordini religiosi non hanno pressoché mai avuto ruoli di guida istituzionale in essi. E si poteva facilmente pensare che quella che era stata la dinamica evolutiva delle realtà carismatiche religiose (=di vita consacrata) sarebbe stata anche quella per le realtà carismatiche laicali, sorte nel XX secolo.

Ora, il Decreto si inserisce nel solco di tale lunghissima tradizione nella Chiesa. E infatti, richiamandosi alla Iuvenescit Ecclesia, esso suggerisce proprio tale distinzione, tra ruolo istituzionale e funzione carismatica.

1. Il primo, soggetto a regole ben precise, è chiamato a svolgere una funzione essenzialmente gestionale-organizzativa. Auspicabilmente chi ricopre tale ruolo deve avere delle doti naturali, che non tutti hanno: deve avere un buon senso organizzativo e pratico, disponibilità a tener conto del parere delle gente, capacità di rapportarsi agli altri. Insomma deve avere anche delle virtù politiche. Invece non è richiesto che sia particolarmente “carismatico”. Certo, non deve essere nemmeno “eretico”, ma non occorre sia un santo.

2. La funzione carismatica pone invece qualche problema in più. E su questo pare ci sia molto da lavorare: è tutto da scoprire come sarà tale funzione nell'orizzonte voluto dalla Chiesa. Personalmente, ho più domande che risposte; tra le tante, ad esempio: ci dovrà essere una sola persona “supremamente carismatica”? O ve ne potranno essere diverse, di pari “caratura carismatica”? E poi: ci dovrà essere qualcuno (chi ha un ruolo istituzionale?) a indicare quali sono le personalità carismatiche (= da seguire, per la loro autorevolezza) o sarà il sensus fidei del “popolo” a “fiutare” chi merita di essere seguito? O ognuno seguirà chi lui stesso percepisce come più autorevole? Quest'ultima cosa è in qualche misura inevitabile, e accade da sempre; ma è anche sempre accaduto che il Movimento abbia dei momenti forti, come le giornate di inizio e fine anno e gli Esercizi, in cui c'è qualcuno di ben preciso che dice una “parola autorevole”, a tutti. E chi fa questo non basta (né occorre) abbia un ruolo istituzionale: deve avere anche una adeguata “carismaticità”, perché non deve insegnare delle idee, ma trasmettere una vita.

... valida solo parzialmente

Una risposta a queste domande dovrebbe partire dal fatto che l'analogia suddetta è valida, ma solo fino a un certo punto. È vero infatti che si tratta in entrambi i casi di fenomeni carismatici. Tuttavia non mancano differenze.

I movimenti ecclesiali laicali nati nel '900, almeno nella interpretazione che ne davano i loro fondatori, sono ritenuti lo strumento con cui lo Spirito Santo è intervenuto per ravvivare la vita della Chiesa tutta, rendendo nuovamente vive delle dimensioni della vita cristiana che col tempo, soprattutto in età tridentina, erano andate appannandosi e logorandosi. La Chiesa tridentina in effetti era andata scivolando su posizioni che inclinavano pericolosamente in una naturalismo razionalistico e moralistico. Facendo così perdere il fascino del cristianesimo delle origini.

Ma se è così il senso dei movimenti è certamente quello di dissolversi nella Chiesa tutta. Ma non perché siano loro a doversi “normalizzare” in una ordinarietà poco affascinante, ma perché la Chiesa tutta recuperi appieno le sue vere e piene dimensioni di gioioso, straordinario e non normalizzabile, incontro con un Avvenimento imprevedibile.

pluralismo nella Chiesa

E qui non si può tacere sulla polisemia della parola “Chiesa”: essa ha, come del resto è il caso di molte parole, più significati.

Una cosa infatti è a) la Chiesa come totalità del Corpo divino-umano di Cristo (del Christus totus), altra cosa è b) l'autorità (“istituzionale”) ecclesiastica, e c) altra cosa ancora è chi occupa in un dato momento storico un certo ruolo nell'istituzione ecclesiastica.

A. Il primo livello è solo parzialmente visibile, finché dura la storia. Ne segue che la Chiesa visibile, ciò che è visibile della Chiesa, non è la totalità della Chiesa, non è il Christus totus quale si manifesterà nella sua pienezza alla fine dei tempi.

B. Nella Chiesa visibile l'istituzione ecclesiastica è comunque certamente la garanzia di corretto rapporto con Cristo: lo ha promesso a Pietro lo stesso Fondatore («tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato anche nei cieli», Mt, 16). Negare questo sarebbe protestantesimo.

C. D'altra parte non si può ignorare che chi di fatto occupa un certo ruolo nell'istituzione ecclesiastica non ha avuto da Cristo la garanzia che ogni sua scelta e ogni suo atto godano di una assoluta infallibilità. Tanto è vero che, ad esempio, tra i diversi Sommi Pontefici, esiste sì, da un lato, una sostanziale continuità e convergenza su ciò che è davvero essenziale nella fede, ma esistono anche, su questioni non-essenziali, delle differenze di sensibilità e di giudizi tutt'altro che trascurabili.

In particolare, sulla questione dei movimenti ecclesiali esiste una differenza di sensibilità tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI da un lato, e papa Francesco, dall'altro. I primi due sommi pontefici hanno avuto una cordiale simpatia per i movimenti ecclesiali. Una simpatia cordiale e convinta che sarebbe un po' più difficile trovare in papa Francesco. E ancor meno in del cui giudizio, secondo alcuni, l'attuale papa si fiderebbealcuni prelati vaticani.

Non è facile escludere che da parte di questi ultimi quella “dissoluzione nella Chiesa” dei movimenti, che uno come don Giussani intendeva come innalzamento del livello di vita ecclesiale alla intensità dei movimenti ecclesiali («era necessario che il quotidiano diventasse eroico», disse Giovanni Paolo II nel 1980), sia intesa invece come abbassamento della intensità carismatica dei movimenti ecclesiali al livello della esistente, comune, medietas. Come se fosse «necessario che il quotidiano resti quotidiano».

In questo senso, se fosse corretta, e conforme alla Volontà di Dio, quest'ultima interpretazione, è chiaro che la questione del seguire perderebbe in gran parte di senso. Nessuno infatti potrebbe pretendere di vivere con una stabile, e speciale, intensità carismatica, tale da renderlo un maestro, una guida per altri.

Se quanto si è detto fosse corretto, allora ne risulterebbe che il Decreto, almeno nella interpretazione di alcuni prelati vaticani, non riguarderebbe soltanto un aspetto organizzativo dei movimenti ecclesiali, ma dovrebbe andare a ridefinirne la natura ontologica profonda.

possibili limiti

Non il Decreto in sé stesso, ma il modo con cui è stato gestito si presta quindi a possibili diverse valutazioni. Oltre a quanto già sopra osservato, c'è un altro appunto che si potrebbe fare. Quello di aver mescolato due livelli che avrebbero potuto (e probabilmente dovuto) essere distinti:

La seconda cosa avrebbe dovuto essere qualcosa di mirato, se necessario tempestivo, e proporzionato alle diverse fattispecie di “deviazioni”.

La prima invece è una questione che avrebbe dovuto essere affrontata non in modo sanzionatorio o emergenziale, ma prendendosi tutto il tempo necessario per avviare la riflessione più dialogica e ampia possibile.

Di fatto invece, il modo con cui le linee generali, in sé giuste, del Decreto, sono state emanate e gestite, senza permettere una previa “digestione” teologica della novità introdotta, è apparsa almeno un po' puntare su una sorta di “fattore sorpresa”, come se su tale argomento non fosse possibile dialogare “con benevolenza”. Come se insomma, quella messa in atto, fosse una misura emergenziale e sanzionatoria.

conclusione

In ogni caso, l'uomo propone, Dio dispone. In ultima analisi è il Creatore della realtà a tenere le redini della storia, e a maggior ragione quelle della storia della Chiesa.

Perciò non dobbiamo disperare che le cose prendano una piega giusta, se noi saremo docili, perché non saremo certo noi i protagonisti: sarà lo Spirito Santo a guidare verso una adeguata intelligenza di quanto ci è chiesto.

Di sicuro sarà sempre possibile seguire una Misura più grande della nostra. Scopriremo col tempo, vivendo e a Dio piacendo, che forma ciò prenderà.