Giussani con Carrón

Carrón: la “successione del carisma”

«Ma io vi dico: di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel giorno del giudizio» (Mt 12, 36)

L'accusa

la “successione del carisma”.

Secondo alcuni, in modo più o meno velato, la gestione carroniana del dopo-Giussani avrebbe risentito di una tendenziale autoreferenzialità.

Robi Ronza ad esempio, con un articolo sul suo blog, auspica che finalmente si approfitti dello stimolo dato dal Decreto del Dicastero per i laici, che nel giugno 2021 ha di fatto posto fine alla presidenza Carrón, per avviare una responsabilizzazione di tutti i membri del movimento. Questi non devono più pretendere di ricevere soltanto, e passivamente, ma devono rimboccarsi le maniche e diventare responsabili in prima persona del carisma.

«Abbiamo (...) tutti quanti il dovere di rispondere, secondo i talenti e la vocazione di ciascuno, a quella chiamata alla responsabilità cui nella sua comunicazione dello scorso 29 novembre ci sollecita Davide Prosperi (...). Citando l’esempio del movimento francescano fece presente che la questione di chi succede al fondatore richiama molta attenzione nei primi tempi dopo la sua scomparsa, ma poi perde importanza. Oggi tutti ricordiamo san Francesco e abbiamo un’idea della spiritualità francescana, ma solo pochi addetti ai lavori sanno chi sia l’attuale Ministro generale dei Frati Minori e delle altre congregazioni eredi del carisma di san Francesco.»

Ora, è vero che Ronza, pur parlando in un altro passaggio di «reali o tendenziali distorsioni» ai vertici del Movimento, ne attribuisce la colpa non solo, e forse nemmeno soprattutto, agli stessi vertici, ma a quella “base” che per pigrizia ha preferito una obbedienza un po' pecoronesca al pieno esercizio del proprio senso critico; tuttavia il fatto che si sia pensato che dopo don Giussani fosse arrivato ... un nuovo don Giussani, nel senso di uno che aveva la stessa carismaticità del fondatore non può, se fosse vero, non essere almeno un po' colpa anche di chi avrebbe come minimo accettato di essere fatto oggetto di una tale sproporzionata devozione. Vi sono poi Ne accenno solo rapidamente: si tratta del fatto che papa Francesco avrebbe già dal 2015 richiamato Carrón a una gestione meno personalistica di CL. La frase, che turbò alcuni, per cui “il centro non è il carisma, ma è Gesù Cristo” avrebbe avuto come significato che “il centro non è Carrón ma è Gesù Cristo”. Ma questa interpretazione è evidentemente forzata, perché dal contesto si desume che il papa se la prendeva non con Carrón, ma con gli “adoratori di ceneri”, ossia coloro che vivevano di un nostalgico ricordo dei bei tempi passati in cui c'era “il Giuss” (e non quel novellino spagnolo usurpatore, che pretende di insegnare a noi, che abbiamo conosciuto Giussani fin dagli anni '50)

ricerca del potere?

A me pare che a Carrón non possa proprio essere imputata una ricerca del potere: egli è sempre stato molto umile e non ha voluto mai imporre niente a nessuno. Anzi, se un limite ha avuto, come dirò poi, è semmai quello di aver dato fin troppo corda a chi gli remava contro, senza mai difendersi; non per nulla un suo libro si intitola «La bellezza disarmata».

Turbamento e sconcerto sono stati perciò alimentati da una certa recezione della lettera del card Farrell del 10 giugno 2022, che è potuta sembrare accusatoria nei confronti di Carrón, proprio sotto il profilo di cui stiamo parlando. Farrell infatti dice a un certo punto che

«la dottrina della “successione del carisma” - proposta e alimentata durante l’ultimo decennio in seno a CL da chi era incaricato della conduzione, con strascichi che vengono ancora coltivati e favoriti in occasione di alcuni interventi pubblici - è gravemente contraria agli insegnamenti della Chiesa.»

La possibilità che tali parole siano interpretate come un attacco a Carrón ha spinto un altro vescovo a esplicitare nel modo più netto che Carrón non è accusabile di personalismo. Ecco le parole del vescovo di Pavia, mons. Corrado Sanguineti:

«Carissimi amici, ho letto oggi la nuova lettera del cardinale Farell e la breve lettera di Prosperi. Da una parte sono addolorato e ferito da ciò che sta accadendo, dall’altra credo che pur con sacrificio e fatica dobbiamo seguire le indicazioni del Papa e dei suoi collaboratori, evitando divisioni, opposizioni, chiacchiere malevole tra noi. Non c’è niente di peggio che la divisione opera del Nemico. Per il resto guardiamo al carisma nel suo punto sorgivo che è don Giussani, guardiamo a tutta la storia di grazia di questi anni, guardiamo a quei punti vivi, a quei testimoni che rendono più trasparente ed evidente il volto di Gesù. Certo nell’obbedienza anche sofferta obbediamo da figli non da servi, non gettiamo discredito ingiusto su Carrón e sul servizio che ha svolto per anni nel guidare il movimento: in questo senso preghiamo perché chi oggi ha responsabilità di guida non si presti a questa “damnatio memoriae” e sappia affermare l’originalità del carisma. Sì, più che dividerci e discutere, preghiamo, siamo tesi a Gesù nella realtà e lasciamoci colpire da come Lui accade ora. Aiutiamo gli amici in questa ora così delicata per il nostro movimento.

C’è il rischio di una pesantezza di parole e di regole che possono soffocare la vita. Per questo stiamo all’essenziale e ogni giorno viviamo nella mendicanza di Cristo e nella tensione a lasciarci sorprendere dai segni della sua presenza.»

Che Carrón non abbia preteso di impossessarsi del carisma lo sostiene anche il cardinal Zuppi:

«In questi ultimi anni, ho incontrato e conosciuto don Julián Carrón. La prima cosa che mi ha colpito di lui è stata la consapevolezza di non essere Giussani e di voler accompagnare il cammino della Fraternità e dei Memores continuando il carisma non come una ripetizione meccanica, ma con una creatività generativa sul presente. In lui vedo un grande rispetto della coscienza della persona e nello stesso tempo un grande coinvolgimento nell’avventura, nella storia del carisma di Giussani. C’è una totale assenza di personalismo in lui.» Cardinale Matteo Zuppi

In sostanza, se c'è qualcosa che sarebbe assurdo attribuire a Carrón è la ricerca del potere, o di aver esercitato il potere in modo dispotico.

tuttavia...

Tuttavia la possibile parte di verità di questi rilievi, o meglio l'equivoco da cui penso essi nascano, può essere nell'impressione che Carrón può aver dato di ritenersi detentore in qualche modo infallibile del carisma, per il fatto di aver sempre evitato di dialettizzare, di discutere con chi lo criticava, come dirò poi: non è mai entrato nel merito della critiche che riceveva, soprattutto nel punto più contestato, il rapporto fede/mondo. E questo era interpretabile effettivamente come segno di superbia (come se dicesse “non mi abbasso a discutere con voi”). Nel senso che se uno non discute (non accetta di discutere con altri) le cose che dice e che fa, dà l'impressione di ritenere indiscutibili (=non discutibili) le cose che dice e che fa. E da lì a dare l'impressione di ritenersi lui stesso indiscutibile, e quindi infallibile, il passo non è poi così lungo.

Ma in realtà credo che anche la superbia possa essere esclusa come movente. Per quale motivo allora Carrón non ha dialettizzato con i suoi critici? Credo che una parte importante (probabilmente decisiva) di tale scelta vada cercata nella convinzione di essere portatore del carisma in un modo qualitativamente superiore agli altri. E ciò in virtù di un mandato ricevuto dal fondatore di CL. Di una sorta di consegna testamentaria. Ecco che cosa disse infatti Giussani a Scola, in una importante intervista:

Per approfondire.

Sul concetto di carisma si veda la distinzione tra .

che cosa pensava Giussani della successione (a sé)

«Dio si serve dell’effimero. Ritorna l’importanza dell’effimero: per ora, il paragone ultimamente con la persona determinata con cui tutto è cominciato. Io posso essere dissolto, ma i testi lasciati e il seguito ininterrotto - se Dio vorrà - delle persone indicate come punto di riferimento, come interpretazione vera di quello che in me è successo, diventano lo strumento per la correzione e per la risuscitazione; diventano lo strumento per la moralità. La linea dei riferimenti indicati è la cosa più viva del presente, perché un testo può essere interpretato anch’esso; è difficile interpretarlo male, ma può essere interpretato così.

Dare la vita per l’opera di un Altro implica sempre un nesso tra la parola «Altro» e qualcosa di storico, concreto, tangibile, sensibile, descrivibile, fotografabile, con nome e cognome. Senza questo si impone il nostro orgoglio, questo sì effimero, ma effimero nel senso peggiore del termine. Parlare di carisma senza storicità, non è dire un carisma cattolico.»

(Luigi Giussani, Il sacrificio più grande è dare la propria vita per l'opera di un Altro, §4)

«Lo Spirito che dà un carisma ad una persona è lo Spirito di Cristo. Proprio perché il carisma è dato per incrementare la storia del Corpo di Cristo, credo che lo Spirito possa donare lo stesso carisma ad un altro se vuole che i suoi effetti permangano.» (da “Il "potere" del laico, cioè del cristiano”. Intervista con don Angelo Scola, Trenta giorni, agosto-settembre 1987, p. 46.

L'interpretazione del comportamento di Carrón sopra ipotizzata pare confermata dal fatto che Giussani pensava molto probabilmente (ad esempio quando parla di successione ininterrotta di coloro che avrebbero guidato il movimento dopo la sua morte, e che egli definisce «riferimenti indicati») a un mandato (non formalmente masostanzialmente: perché l'assenza, nello Statuto della Fraternità voluto da Giussani, di limiti alla rieleggibilità rende possibile un prolungamento indefinito del mandato: si veda qui) sostanzialmente vitalizio, del suo successore, e ciò non pare sia solo questione quantitativa (di quantità temporale illimitata) ma anche qualitativa. E questo sembra perfettamente compatibile proprio con ciò che il card. Farrell ritiene sia “contrario alla dottrina della Chiesa”, ossia “la successione del carisma”. Il successore cioè avrebbe potuto essere investito di una grazia particolare, una grazia gratis data, che lo avrebbe posto qualitativamente al di sopra degli altri membri del movimento e gli avrebbe conferito Giussani era assolutamente convinto che la grazia “carismatica” lo assistesse anche nei giudizi sulla realtà quotidiana e sull'attualità. Ad esempio stigmatizzava chi, con la prima guerra del Golfo e Tangentopoli, pretendeva di distinguere un buon Giussani, maestro spirituale, da un discutibile Giussani che dava giudizi sull'attualità: il carisma gli garantiva un giudizio anche sul profano qualitativamente superiore, per cui dubitare di tale giudizio era dubitare del carisma e della fede. Perciò se la prendeva con la presunzione di certi “intellettuali”, come chi nella prima guerra del Golfo aveva preso una posizione pubblica diversa da quella voluta da Giussani. E della carismaticità del suo giudizio erano convinti i suoi più fedeli seguaci; un piccolo aneddoto: per alcuni autorevoli memores Domini solo lui poteva usare la parola “comunque”; oppure, accadde una volta che parlando de L'attimo fuggente, risultò una indisponibilità a integrare il giudizio su tale film, che era già stato giudicato (=una volta per tutte) da Giussani. (paragonabile, nel suo piccolo, all'infallibilità pontificia: il parallelismo tra Chiesa e movimento venne tematizzato da Giussani nella appendice alla prima edizione cartacea di Alla ricerca del volto umano). Ma diciamolo meglio: lo avrebbe reso qualcuno da seguire, un maestro. In qualche modo paragonabile al fondatore del Movimento.

un'obiezione (e relativa risposta)

Questo sembrerebbe contraddetto da quanto Giussani afferma nella Tischreden “Questo sì e basta” (in Affezione e dimora, p. 204) in cui egli dice di non aver niente di più di quello che hanno le memores Domini che sembrano lamentare di avere qualcosa in meno. Sulla stessa linea sembra essere stato anche Carrón, quando egli negava di avere qualche “manuale segreto” speciale, in cui imparare come si conduce il movimento: non ha a disposizione altro che gli stessi testi di Giussani che tutti possono leggere.

Tuttavia queste espressioni sembrano riguardare solo uno dei due tipi di grazia distinti da Tommaso d'Aquino, ossia la grazia gratum faciens, non la grazia “carismatica”, gratis data. Per quest'ultima può rimanere vero che essa sia data ad alcuni, in particolare a chi guida, più che ad altri.

Ora, Carrón ha preso molto sul serio questa aspettativa di Giussani, e la grande responsabilità derivantene. Con le migliori intenzioni del mondo. È sì probabile che a un certo punto lo abbia fatto in un modo, che, almeno col senno di poi, possiamo valutare come un po' rigido e unilaterale.

Ma nel momento in cui Giussani affida a Carrón la guida di Cl, la Chiesa non ha ancora definito (mi viene fatto notare che non è mai stato citato un testo ufficiale della Chiesa, in cui sia formalmente definito il concetto di successione del carisma, con relativa, formale e precisa, condannasemmai lo abbia fatto, successivamente) come erronea la “successione del carisma”. E Carrón, prendendo sul serio tale convinzione di Giussani non ha perciò commesso alcuna colpa sostanziale. Perché finché una certa convinzione non è stata come qualcuno dice non sia del resto nemmeno finora accaduto, in modo formale ed esplicito, col concetto di “successione del carisma”, sostenerla non è una colpa. Che poi, ripeto, sia stato Perché parlo di rigidità? Perché mi pare che egli abbia da un lato sentito su di sé tutto il peso della responsabilità di avere “ereditato il carisma”, per così dire, per cui non gli era permesso il lusso di sbagliare, e dall'altro, conscio dei suoi limiti, ha avvertito di non poter fare esattamente come Giussani, che giudicava anche l'ambito profano con la stessa autorevolezza con cui richiamava alla fede. E così, credo sia anche per questo che egli ha autocircoscritto il suo compito al comunicare solo la sua esperienza di fede. Ma di rigidità, tuttavia, mi pare si sia trattato: perché non penso che quello che gli fosse chiesto fosse una inerranza assoluta, e d'altra parte se egli si fosse confrontato con tutti (critici compresi) anche sul giudizio sul profano, la cosa avrebbe perso i tratti vertiginosamente drammatici di camminare su un filo a 50 metri da terra. In tal modo invece, Carrón è stato un ottimo maestro nell'esperienza di fede, ma potrebbe aver pensato che gli venisse chiesto più di quanto gli era chiesto, cioè una cristallina, totale inerranza anche sull'ambito profano. Un esempio: il giudizio che Carrón ha dato sull'Ucraina nell'estate del 2022, io lo condivido al 100%. Ma l'avrebbe dato se fosse stato ancora presidente della Fraternità? Ne dubito. nell'applicarla, non confrontandosi (se non “a distanza” e con fugaci cenni) con i suoi critici, questo è un altro paio di maniche.

che cosa pensa l'istituzione ecclesiastica

Carrón davanti al Decreto

Il Decreto del Dicastero entrava decisamente in perché elettività e temporalità del ruolo istituzionale mal si conciliano con una sua intrinseca e necessaria carismaticità, e questo sulla scia della Iuvenescit Ecclesia, con la sua chiara distinzione tra istituzione e carisma con l'idea di successione del carisma. Come lo ha recepito Carrón?

Se quanto si è detto riguardo all'idea giussaniana di successione è corretto, ciò può spiegare una certa riluttanza di Carrón nei confronti del Decreto. Da un lato infetti, da fedele figlio obbediente della Chiesa Carrón non ha mai detto, o fatto, niente contro il Decreto. Tuttavia, d'altro lato, non ha mai nemmeno cercato di commentarlo positivamente, sciogliendo i molti dubbi che esso aveva fatto nascere, soprattutto tra i suoi estimatori, come in passato aveva fatto con diverse prese di posizione papali, che erano state mal comprese e mal giudicate da molti (si pensi alla Amoris laetitia). Il suo silenzio, stavolta, ha potuto essere interpretato come assenza di cordiale condivisione del Decreto. Le sue dimissioni, abbondantemente anticipate rispetto ai due anni concessi a tutti i responsabili ultimi di realtà laicali, sono potute sembrare una conferma di un suo non sentirsi pienamente a proprio agio con il Decreto e quindi non sentirsi di guidare il Movimento a vivere questa nuova fase, di applicazione di quello.

Purtroppo però, in questo modo è accaduto che egli ha finito col (contribuire a) rendere lui stesso punitivo nei suoi confronti qualcosa che in sé non lo era. Non lo era, perché rivolto indistintamente a tutte le realtà carismatiche laicali. E non lo era perché lo stesso Pontefice ha motivato la necessità del Decreto con casi di abusi di potere presenti in realtà diverse da CL, e con la generale inclinazione umana a vivere in maniera possessiva: niente cioè di personale contro di lui. Senza contare che il papa aveva piuttosto buoni motivi per apprezzare Carrón, che lo aveva sempre difeso, piuttosto che per avversarlo (anche se probabilmente non mancavano anche è possibile che papa Francesco desiderasse che Carrón argomentasse (/facesse argomentare) in modo più articolato e persuasivo (meno “disarmato”) la difesa che del papa Carrón ha sempre fatto; per tacere del fatto che di fronte al frenetico dinamismo accusatorio dei suoi critici presso le stanze vaticane, dubito che vi sia stata (credo per eccesso di “disarmata” umiltà) da parte sua una sollecitudine a far sentire le sue ragioni e ad ascoltare gli eventuali suggerimenti del papa, ma senza paragone più circoscritti dei motivi di apprezzamento). È vero che i critici di Carrón all'interno di CL hanno probabilmente fatto di tutto perché, in un modo o nell'altro, egli “mollasse”, e quindi essi hanno esultato alla notizia del Decreto; ma questo non significa che il Decreto fosse intrinsecamente “contro Carrón”: mi pare sia stato proprio il suo silenzio, interpretabile come tacita incomprensione della positività del Decreto, ad aver poi contribuito a renderlo di fatto tale.

altri fattori dell'idea carroniana di successione

Il temperamento

Dopo la morte di Benedetto XVI mi è venuto da considerare un fattore che in precedenza avevo sottovalutato: il temperamento, le “doti naturali”.

Se Carrón non ha dialettizzato con i suoi critici, se non si è attivamente mosso per far rientrare il dissenso che covava sempre più nei suoi confronti, non è (probabilmente) solo per quanto detto fin qui (la fedeltà all'idea - giussaniana - di unità tra carisma e ruolo istituzionale anche nei suoi successori), ma anche per il suo non essere “un politico”. Un politico è appunto uno che è attento al consenso e agli umori della “base”. Non per assecondarli a qualsiasi costo, ma per tenerne comunque conto. Un politico, diceva Machiavelli, deve essere un po' “golpe” e un po' “lione”, cioè astuto (come una volpe) e energico (come un leone). Dove l'astuzia, in un cristiano, non significherà “falsità”, ma prudenza “come serpenti”. Ora, a Carrón, mite e schivo, nulla è più estraneo che queste doti di politico.

Egli non ha niente della “golpe” o del “lione”. E ha puntato tutto sulla sua carismaticità, sul testimoniare la bellezza dell'esperienza della fede, disinteressandosi del potere.

Il giocare fuori casa

Forse, un altro motivo potrebbe essere anche il fatto di “giocare” in un certo senso “fuori casa”, essendo lui spagnolo e avendo incontrato il Movimento e don Giussani un bel po' di tempo dopo molti dei suoi (maggiori) critici. Questo potrebbe aver contribuito ad accentuare qualcosa di comunque già presente nel suo temperamento, schivo, umile e al contempo signorile, rafforzando in lui una certa ritrosia a scontrarsi dialetticamente con altri.

Appendice: Dopo Carrón, il paradiso?

Un rischio nella tesi di Ronza sopra riportata sarebbe il sottinteso, se vi fosse, che “adesso sì che abbiamo capito”, “adesso sì che andrà tutto bene”. Io credo che avesse invece ragione Carrón a mettere Gesù e gli apostoli nella tempestal'immagine della barca nella tempesta all'ultima giornata di inizio anno da lui tenuta (nel settembre 2021): come sempre la vita non è né tragica (fine necessariamente negativa) né comica (fine necessariamente positiva), ma è drammatica (come andrà a finire non è già scritto, dipende da come uno usa la sua libertà). Anche perché ritenere che non ci sia nessun pericolo e che andrà senz'altro e per forza “tutto bene” è il modo migliore perché le cose vadano poi male. Come uno che in montagna ignora il rischio di cadere in un precipizio si mette nelle condizioni migliori per caderci davvero.

Non è affatto detto che “andrà tutto bene”.


In questo senso un mio amico ha recentemente detto di non provare grande passione per la questione di chi guiderà il Movimento, perché «il problema è l'io». Ora questo è vero solo in parte.

È vero cioè che il mio rapporto personale con Cristo non me lo può levare nessuno: come dicevano i Padri del Deserto e come hanno sempre ripetuto tutti i maestri di spiritualità «non può avere pace l'uomo che non ragioni come se al mondo esistessero solo lui e Dio». Lo dice anche il salmo 90 (91) «mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma niente potrà colpire te» (se tu stesso non lo vorrai, abbandonando Cristo). Lo diceva anche S.Agostino: «Deum et anima meam scire cupio (...) Nihil aliud». Ma dal punto di vista del Movimento, nella sua storica e concreta oggettività, non è affatto indifferente chi lo gestirà. Il mio amico diceva: «tanto i richiami che ci faranno sono sempre gli stessi». Non è affatto detto che lo saranno, non è affatto escluso che chi guiderà il Movimento possa deviare verso una deriva ideologica. Ne abbiamo degli esempi in altri movimenti: basta pensare ai Legionari di Cristo.