Il Sabato contro G.Bush

Bush, giù le mani dall'enciclica

Editoriale tratto da Il Sabato, n. 7 del 15/02/1992 pag. 3

E' in arrivo una nuova enciclica del Papa. Tratterà dei temi morali. Il testo ha avuto una genesi lunga e tribolata. Anche tra i teologi più vicini al Papa non c'è stata sempre identità di vedute sull'opportunità e sui contenuti specifici dell'enciclica. La settimana scorsa s'è verificata una fuga di notizie e indiscrezioni: è stato scritto che il testo sarebbe già in traduzione, alcune agenzie di stampa hanno rivelato perfino il titolo del nuovo documento Veritatis splendor. All'origine del dispaccio dell'Ansa c'è un trafiletto apparso su una rivista cattolica americana, il cui editore è un religioso, sostenitore di Bush durante la guerra del Golfo, che è ultrasensibile ai temi dell'etica sessuale ed attende con ansia il pronunciamento pontificio. Benché dal portavoce vaticano non siano venute conferme ufficiali, risulta anzi che il testo non è ancora in traduzione, alcuni organi di informazione (Tg1 e La Stampa in testa) hanno ripreso con grande enfasi le indiscrezioni.

E' stato interpellato anche il cardinale Ratzinger. Il prefetto della fede era a Milano, per la presentazione di un libro. Non ha voluto dir nulla sui tempi di pubblicazione dell'enciclica, ma ha offerto una chiave di lettura: «E' desiderio del Papa un documento sui fondamenti dottrinali della morale» ha spiegato Ratzinger. «Nella Chiesa è sorto un dubbio se dalla fede nasca un comportamento concreto, e a questo dubbio si vuol dare risposta». Non si tratta quindi, com'è stato scritto, di attribuire il «sigillo della infallibilità» al magistero pontificio su aborto, contraccezione, morale sessuale. Aspetto essenziale dell'insegnamento della Chiesa, ma così gonfiato dai mass media da far passare in subordine il cuore della missione del Papa. Si tratta piuttosto, così par di capire dalla battuta di Ratzinger, di contrastare un concetto di fede intellettualistico. E quindi necessariamente moralistico.

Non c'è scampo infatti: se la fede cristiana viene percepita di fatto come una teoria -un insieme di verità e principi da conoscere e professare alla stessa stregua della filosofia di Kant o della religione di Maometto- il nesso con la vita sarà sempre estrinseco. Quindi artificioso. Fonte di perenne incertezza, dubbio, frustrazione. Perché non si può unire a posteriori ciò che è diviso in radice. Inevitabilmente ci si aggrappa allora alle "istruzioni per l'uso": appaiono l'unica prassi possibile. E si finisce per attribuire alle stesse leggi morali un valore che esse non pretendono avere. Come insegna san Tommaso, commentando un passaggio della prima lettera a Timoteo («la legge è buona, se uno ne usa legalmente»): «Il legittimo uso della legge morale è che l'uomo non le attribuisca più di quanto in essa è contenuto. La legge è stata data perché si conosca il peccato. Non vi è nei Comandamenti speranza di essere resi giusti, ma solo nella fede». La fede nasce come grazia di un incontro. Un fatto, una presenza reale esterna all'uomo, che gratuitamente sorprende l'uomo. Quando si è colpiti da un incontro così, la vita cambia senza porsi innanzitutto il problema di cambiarla. L'incontro con Cristo fa venire voglia di seguirLo, non immediatamente di cambiare la vita. Se il termine fosse cambiare la vita, l'attenzione si sposterebbe inevitabilmente su di sé, invece che sulla Presenza. Neanche uno iota della legge viene eliminato, anzi, seguendo, la sua osservanza viene resa possibile. Nella pazienza di una storia, in cui il Sacramento della confessione ridona ogni volta la grazia dell'innocenza del battesimo.

Come per i primi discepoli: frequentando quella compagnia straordinaria i loro comportamenti concreti cambiavano, eccome. Non attraverso lo sforzo di dedurre dalle sue parole una prassi coerente. Ma perché gli andavano dietro. Con cuore semplice ed occhi aperti ad ogni suo movimento. E ad ogni sua parola e comando. Fragili come tutti gli altri, pensiamo a Pietro, eppure diversi.

Quando il cristianesimo non è più il ripetersi attuale di incontri così, le prescrizioni morali sono percepite come una pretesa estrinseca e quindi irragionevole. Un fardello da alleggerire sempre più, fino a liberarsene senza più complessi di colpa. Questo per la gente. I potenti, invece, possono anche utilizzare per fini politici spezzoni del magistero ecclesiastico. Come negli Stati Uniti, dove a novembre si elegge il nuovo presidente e Bush si presenta agli elettori come leader anti-abortista e paladino dei valori morali. Si dice che anche lui attenda con ansia la nuova enciclica. Comunque prima di novembre. Che dire? Di fronte ad ogni rischio di strumentalizzazioni, è sempre valido l'ammonimento di Pio XII contro quanti vogliono «menomare il diritto della Chiesa a determinare liberamente se e quando e come voglia prendere partito nei vari conflitti». Diceva papa Pacelli nel Natale 1951, in piena guerra fredda: «Uomini politici, e talvolta perfino uomini di Chiesa, che intendessero fare della Sposa di Cristo la loro alleata o lo strumento delle loro combinazioni politiche nazionali o internazionali, lederebbero l'essenza stessa della Chiesa, arrecherebbero danno alla vita propria di lei; in una parola, l'abbasserebbero al medesimo piano, in cui si dibattono i conflitti d'interessi temporali. E ciò rimane vero anche se avviene per fini ed interessi in sé legittimi».